Alta Murgia bianco e nero

Anno 2003

Alta Murgia bianco e nero.

Fotografie di Luciano Montemurro

Edizione Centro Studi Torre di Nebbia

Prefazione di Piero Castoro




Il paesaggio, che è protagonista della pubblicazione è quello dell’Alta Murgia, un altopiano che si estende per più di centomila ettari nel cuore della Puglia e su cui solo di recente si è appuntata una particolare ma contraddittoria attenzione da parte di gruppi sociali.

È all’interno di questo contesto che si è sviluppata la ricerca di Luciano Montemurro sul’Alta Murgia. Il suo lungo reportage fotografico, sviluppato nell’arco di un decennio, ha costruito un’immagine meditata di questo territorio, lontana dalla retorica compiaciuta o nostalgica del mondo agreste ma, soprattutto, tesa a scardinare un pregiudizio percettivo condiviso fino a ieri quasi senza alcuna riserva, non solo dal mondo quotidiano di senso comune.
La ricerca scandisce quasi in tempo reale gli effetti indotti dai profondi cambiamenti che hanno investito l’Alta Murgia almeno partire dagli ultimi vent’anni, e che hanno determinato un processo di intensa modificazione sia delle componenti antropiche-insediative che di quelle fisico-naturali.

Il repertorio fotografico che si è venuto pian piano costituendo, in stretta collaborazione con il Centro Studi Torre di Nebbia, rappresenta, anche per questo, un documento eccezionale.

È dentro questa dimensione che occorre cercare il primo filtro che Luciano Montemurro ha dovuto inserire nella sua macchina fotografica, un filtro derivato essenzialmente dalla consapevolezza di poter frugare solo la sua superficie e inseguire, nel mondo che appare, i giochi di luce e ombre. (…)

La Murgia, che appare nel lavoro di questo fotografo, è certo insieme ‘sitibonda’ e ‘selvaggia’, ‘pietrosa’ e ‘disperata’, ma mai (…) respingente e squallida.

Un secondo filtro, invece, rispecchia una inconsueta capacità di captare gli elementi di dominio del paesaggio: una cisterna arrugginita che sovrasta un’arida distesa sull’altopiano, una ferula scampata che si erge altera sul campo ‘spietrato’; ma ovunque la luce mattutina di un paesaggio agrario, oggi con il fiato sospeso, e ciò malgrado ancora vivo, straordinario e vasto.

Più di ogni prezioso documento, il reportage fotografico, testimonia con immediatezza il valore e l’originalità di un sistema rurale complesso, che costituisce tra l’altro un esempio, unico in Italia nel suo genere, di rara archeologia ‘industriale’: le incisioni naturali di imponenti fenomeni carsici, le pietre e i residui di vegetazione spontanea, l’ordito architettonico delle innumerevoli masserie da campo e per pecore (jazzi), gli animali al pascolo nelle alture e nelle lame, la fierezza di uomini al lavoro nei campi.
(...)

Questo secondo filtro impedisce allo sguardo di “frugare con uno struggimento di morte” (T.Fiore), per mettere a fuoco, invece, l’eredità di una sapienza ambientale costruita da intere generazioni e proiettarla in un futuro ancora possibile.

Infatti, persino chi non sente più nemmeno l’odore di erbe fresche tra le rovine, può, osservando queste ‘panoramiche’, rendersi conto del valore di questo immenso patrimonio e della necessità di tramandarlo.

Un ultimo filtro è stato inserito con la presente pubblicazione, che raccoglie solo una parte di una ricerca più ampia, interamente realizzata con l’uso della pellicola in bianco e nero, intrapresa a partire dal 1998, dopo l’uscita di alcune monografie dedicate al territorio e ai paesi murgiani (Breve Storia dell’Alta Murgia, Torre di Nebbia, 2000).

La scelta del bianco e nero non risponde ad una mera esigenza estetica, tanto meno vuole rappresentare una sorta di espediente alchimistico per ricavare oro anche dalle forme più vistose di degrado. 

Essa piuttosto rivela una volontà di approfondimento e, insieme, di mise à distance che solo può permettersi chi ha esperito a lungo, sul campo, una meticolosa osservazione delle metamorfosi di questo paesaggio.

Il lavoro, eseguito a tutto campo, con la stesa tecnica abituale di un camminatore generoso, disposto a percorrere in lungo e in largo le asperità del suolo in tutte le stagioni, si concentra sui grandi segmenti del territorio: il costone, che si erge sulla Fossa Bradanica lungo il confine con la Lucania, la parte interna, la cosiddetta dorsale e, infine, l'area che degrada verso la pianura adriatica del nord-barese. 
Tre aree sottoposte ad una capillare e attenta ricognizione.

Il ricorso, perciò, alle origini cromatiche dell’arte fotografica vuole essere forse un tentativo di rendere più appariscente, persino all’occhio globalizzato o anonimo del nostro tempo, la visione di un mondo variamente ricco e articolato, in cui si intrecci, ancora oggi, il rapporto, ora complementare ora oppositivo, tra l’uomo e la terra.

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