Fokara, Miti di una diaspora

Anno 2021

Fokara, Miti di una diaspora di Pavor Nocturnus, The Nent


La tradizione dei fuochi della festa è diffusa tra le comunità Arbereshe del Meridione, dove nel corso del XV secolo migrarono le antiche popolazioni albanesi in fuga dall'invasione ottomana.

Vengono accesi nella piazza o di fronte alla chiesa in occasione di varie ricorrenze, tra le quali il Natale, e sono chiamati in modi diversi: Fokara, Fukinera, Zjarri i Madh.

In questo rito collettivo si possono riscontrare molteplici elementi e livelli di significato, a partire dalla trasposizione del focolare domestico dalla dimensione privata a quella collettiva: la “ghitunia” (il vicinato) diventa la casa di tutti, inclusi gli emigrati che ritornano in occasione delle feste; in questo modo il fuoco coagula attorno a sé la comunità, rinforzandone l'identità e, al tempo stesso, illumina la strada del ritorno di chi, per volontà o necessità, dalla comunità si è allontanato.

L'accensione del fuoco è anche rito propiziatorio, legato al passaggio delle stagioni e intriso di valenza sciamanica: il fuoco ci mette in contatto con la dimensione della memoria e del mito, nel fuoco brucia il passato che si è trasformato in ricordo ma, al tempo stesso, la fiamma che lambisce il cielo ci muove verso la speranza per il futuro e ci mette in contatto con la dimensione del sacro e del divino.
La Fokara diviene anche cassa di risonanza dell'emotività collettiva, espressa attraverso i canti della tradizione che spesso narrano la malinconia di chi si è visto costretto ad abbandonare la propria terra e le proprie radici. Così viene cantato il desiderio di riunirsi ai propri cari, ribadendo la necessità di quel senso di appartenenza che solo il sentirsi a casa, circondato dalla propria gente, è in grado di trasmettere.

Il tema dell'abbandono della patria è espresso in maniera struggente nel canto “Oj e bukura More/O bella Morea”, qui intonata da una fisarmonica che si riverbera nel balenio delle fiamme e sembra rievocare un ricordo ed un passato lontani:
Oj e bukura More / O bella Morea
Ç'kur tё le / Da quando ti lasciai
U mo ngё tё pe / Io più non ti vidi
Atje kam u zotin tat Là ho il mio signor padre
Atje kam u zonjen mam / Là ho la mia signora madre
Atje kam puru tim vugha / Là ho anche mio fratello
Gjithё tё mbiluara me dhe / Tutti coperti di terra
Oj e bukura More / O bella Morea
Ç'kur tё le / Da quando ti lasciai
U mo ngё tё pe / Io più non ti vidi

Il vento, sollevato dal mantice della fisarmonica, trasporta lontano le scintille del fuoco, disperdendole come sparso è il sangue Arbereshe, lontano dalla propria terra (gjaku jonë i shprishur).

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