Il Fleyè

Anno 2021

Il Fleyè di Bruno Baratti

Il grano, simbolo della rinascita, della fecondità e del passaggio dell’anima dall’ombra alla luce. Il ciclo vita-morte di questo cereale trova, nell’antica lavorazione manuale il proprio momento di elaborazione, condivisione e festa magica. Ricchezza e abbondanza del raccolto creano euforia. Un ricco ha 'tanta grana', il grano è unità di misura, la spiga è un gioiello che si proietta nel cielo, è il contatto tra terra e divino: “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se invece muore, produce molto frutto”.

Il Fleyé, (Fléau in francese) strumento musicale ritmico valdostano, affonda le sue radici nelle lavorazioni antiche del grano e rievoca il rumore battente che gli attrezzi dell’epoca producevano quando il grano veniva lavorato. Il momento della lavorazione del cereale era un’attività legata alla festa che ne celebrava il raccolto, era momento di unione tra generazioni, passaggio di insegnamenti, vita comunitaria e condivisione della ricchezza.

Nel 1958, all’interno del gruppo folkloristico valdostano La Clicca, è nato uno strumento a percussione che si è poi diffuso in tutta la regione, il Fleyé. 


Ispirandosi direttamente all’attrezzo agricolo usato battere il grano e dividere i chicchi dalla paglia, Vittorio Bovi (membro del gruppo) lo trasformò in uno strumento a percussione per accompagnare il suono melodico della fisarmonica. Da allora il Fleyé si è diffuso ed è diventato parte integrante del tappeto ritmico sonoro dei gruppi musicali valdostani di tradizione. Strumento utilizzato per celebrare feste e tradizioni, ballare a ritmi cadenzati e spostare in alto lo spirito, genuinamente, attraverso il suono, il ritmo, la danza, il contatto, la ritualità, la celebrazione.


Il Fleyé, viene prodotto a mano, da artigiani specializzati nella lavorazione del legno che, nel tempo, hanno messo a punto dimensioni, forme, casse acustiche, accessori di questo strumento, dal suono immediatamente riconoscibile all’orecchio. Il Fleyé viene suonato tenendolo appoggiato alla spalla e percuotendo le due piccole casse armoniche con un martelletto, anch’esso realizzato artigianalmente in legno. Il suono che produce è netto, composto da due tonalità distinte e accompagnato dalla presenza di piccoli campanelli che rispondono al movimento dello strumento.



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L’installazione



Dare vita al suono senza l’uomo che lo genera, valorizzare lo strumento musicale tradizionale con uno slancio tecnologico che lo proietta nel tempo e celebrare l’assenza del musicista per aumentare la consapevolezza nell’ascoltatore sul 'cosa manca'.



“La tradizione non consiste nel guardare la cenere, ma nel dare vita al fuoco”. Il gesto meccanico del percussore, nella sua più alta configurazione tecnica e tecnologica possibile, genera un insieme spaesante. Un corto circuito tra passato, presente e futuro che pone interrogativi e accenti interessanti da approfondire.

L’installazione sonora mira a porre l’attenzione del visitatore al suono generato dal Fleyé attraverso percussori meccanici, collegati a un sequencer che ne indirizza, programma e comanda il ritmo. L’oggetto diventa così il portatore della narrazione, il centro della ritualità, il generatore del battito.



La scoperta delle radici dello strumento alimentano nello spettatore l’immaginario contadino: il rapporto uomo/terra, semina/raccolto, produzione/consumo, festa/ritualità in un piccolo caleidoscopio da costruire attraverso la scoperta personale prodotta dall’unione di suoni, attrezzature, oggetti, interazioni che l’installazione propone.

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