LAVAZH

Anno 2019

LAVAZH ha iniziato a prendere forma nel 2018, quando ci siamo recati in vacanza a Shengjin, località di mare nel nordovest dell’Albania.

Jonida da piccola andava coi genitori lì nelle rare volte in cui potevano portare lei e la sorella (non avevano grandi possibilità). Si ricordava un posto incontaminato dove il mare dialogava idealmente con una stupenda montagna, armonicamente uno di fronte all’altra. E invece ci siamo trovati in mezzo ad alberghi ipertrofici, ecomostri innalzati fino quasi a cancellare la vista dei monti ed un mare assaltato dal frastuono incessante di musiche 'tamarre' mescolate a spietato intrattenimento 'technofolk', tanto che percepire il suono delle onde era un miracolo.

Neanche un lembo di spiaggia libera, neanche un minuto di quiete sensoriale: è l’uomo che cerca di colmare un horror vacui di spirito e di identità verso un consumo che supera ogni concetto capitalista e che sembra lanciarsi contro il muro dell'implosione.

Nell’opera cerchiamo di restituire queste sensazioni di una terra le cui tradizioni e la cui ecologia umana (nello specifico la voce di Jonida nello stile del lamento) combattono per resistere a questa bulimia economica (rappresentato dall'assalto elettronico).

LAVAZH vuol dire 'lavaggio', sia del cervello che in generale della storia dell'Albania pagana ma anche dell'uomo contemporaneo, destinato a una tabula rasa per addizione di elementi che vedrà vincitore non tanto la natura in sè quanto il deserto e il silenzio (l'ultima traccia parla chiaro, solo il vento è capace di opporsi alla brutalità delle cose, pronto ad eroderle con il suo soffio).

Quello che sta succedendo in Albania è una specie di presagio affacciato sul destino del mondo se esso non correrà ai ripari: sono i due grandi blocchi (Comunismo e Capitalismo) che fagocitano se stessi come in un uroboro perverso.

I testi in albanese e in italiano sono di Jonida e mescolano ricordi d'infanzia a tematiche rituali e antirituali, musicalmente si riprende la tradizione musulmana del muezzin ed i tipici canti homo/isopolifonici albanesi riveduti in chiave contemporanea.

Importante è anche la distorsione delle prospettive.
Jonida si accorge che sembra tutto molto piccolo, mentre da bambina il lungomare le sembrava un posto enorme. Questa percezione deformata, ridotta a briciola dalla realtà vista dagli occhi di una adulta di mescola alla dis-percezione dell’ambiente contaminato dalla voracità di un sistema eccessivo, anabolizzante, che nel suo volersi liberare dalle catene si fa opprimente.
Un aspetto privato che si fonde alla catastrofe del ricordo: unica speranza è il reset, farsi nuovi pionieri di una terra che ancora non conosciamo.

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Jonida Prifti: voce, poesia
Stefano Di Trapani: strumenti

Ringraziamenti:
. Hugo Sanchez
. Adriano Cava
. Misto Mame crew

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